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Storia - Marta Robinová

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Marta Robin (1902-1981) è una delle più grandi mistiche del XX secolo e ricevette anche le stigme. Ogni venerdì riviveva la passione e la morte di Gesù Cristo. Sul corpo apparivano le stigme sanguinanti delle ferite di Nostro Signore. Oltre a questi fenomeni, l’opinione pubblica e la scienza non sono riuscite a fornire spiegazioni su come ella fosse riuscita a sopravvivere non assumendo cibo per più di 50 anni, se non l’Eucarestia.

Nel 1903 tutta la regione fu colpita da un’epidemia di tifo e le vittime non si contavano. La piccola Marta cadde anch’ella malata. Non morì, ma le sue condizioni di salute furono irreversibilmente compromesse. Per motivi di salute era spesso assente a scuola. In occasione della prima comunione dovette fare il catechismo a casa con il parroco. Il 15 agosto 1912 fu un giorno memorabile nella vita di Marta: ricevette per la prima volta Cristo nell’Eucarestia. Qualche anno dopo confessò: “Ho sentito come se quel giorno della prima comunione il Signore mi prese in suo possesso. Il cuore di Gesù iniziò a battere nel mio.“

Marta aveva un’ottima memoria; si ricordava tutto e le piaceva studiare. Dovette purtroppo interrompere gli studi a quattordici anni per aiutare i genitori in fattoria. Era una bambina calma e sorridente, amava i fiori, le piaceva lavorare in cucina e in giardino, amava i canti e balli popolari durante gli incontri serali coi vicini.

Paralisi progressiva

Nel maggio 1918 la sedicenne Marta iniziò a soffrire di forti mal di testa. Il 25 novembre di quell’anno svenne improvvisamente mentre era in cucina con sua madre. Rimase in coma per 20 mesi. I medici erano impotenti e non riuscivano a stabilire alcun tipo di diagnosi. I genitori temevano che Marta potesse morire da un momento all’altro. Nessuno aveva capito che si trattava di una “mistica perdita di coscienza” durante la quale Gesù stava preparando Marta ad una grande missione di manifestazione reale del suo amore e della sua infinita misericordia. La ragazza meravigliò tutti quando un giorno si risvegliò e proseguì il suo discorso esattamente dalla frase interrotta prima di cadere in quel sonno mistico. Da quel giorno però Marta era in grado di camminare solo con l’aiuto delle stampelle e la sua patologia proseguì con un decorso in continuo peggioramento. Dentro di sé Marta era convinta che la missione più importante nella sua vita era soffrire per gli altri. Da Maria aveva imparato ad avere fiducia e credere in Gesù senza riserva alcuna. Aveva un solo desiderio: compiere la volontà di Dio.

Il 15 ottobre 1925, nel giorno di Santa Teresa d’Avila, Marta scrisse l’atto di affidamento e totale sacrificio della propria vita a Dio. Si trattava di un atto di consacrazione privato, un fidanzamento con Cristo, un dono di sé come “sacrificio d’amore” e al tempo stesso una commovente lettera a Dio. In essa si legge anche: “Signore, Dio mio, hai chiesto tutto alla tua piccola serva... O, amato della mia anima, solo Te brama il cuore mio e per il tuo amore rinuncio a tutto... Dio d’amore! Prenditi la mia memoria e tutti i ricordi. Prendi il mio intelletto e fa che esso serva solo la tua maggior gloria... Prendi tutta la mia volontà... Prendi il mio corpo e tutti i miei sensi, la mia mente e tutte le sue capacità, il mio cuore e tutti i miei sentimenti... O, Dio dell’anima mia! O Sole Divino! Ti amo... Nascondimi nella profondità del tuo essere... Prendimi con te. È solo in te che io voglio vivere.” Molti mistici hanno rivelato che come segno dell’unione mistica con Cristo hanno ricevuto da lui un “anello d’oro”. Marta ha confessato che l’ha visto ben dodici volte sul suo dito anulare.

Dopo questo anno di consacrazione a Gesù iniziarono ad avvenire cose misteriose e stravolgenti. Il 2 ottobre 1926, ricorrenza di Santa Teresa di Lisieux, la ventiquattrenne Marta cadde di nuovo in trance e stavolta per tre settimane. Al risveglio rivelò ai genitori di aver vissuto sofferenze enormi, ma paradossalmente di aver anche assaporato la dolcezza dell’amore di Dio. Disse: “Quando soffriamo, è scuola d’amore, perché possiamo amare di più.” Durante quel periodo fu visitata tre volte da Santa Teresa di Lisieux, che invitò la malata a creare “focolari d’amore” in tutto il mondo.

Gli arti inferiori di Marta non rispondevano ormai più e la ragazza aveva perso ogni capacità di deambulazione autonoma. A partire dal mese di febbraio 1929 il morbo si estese anche agli arti superiori, alle spalle e al tratto digerente. Non riusciva più neppure ad ingoiare e quindi non poteva né bere né mangiare. Rimase così allettata fino al giorno della morte, il 6 febbraio 1981.

Il miracolo dell’Eucarestia

A prendersi cura di Marta era il dottor Jean Dechaume, professore presso la facoltà di medicina di Lione e poi anche il dottor André Ricard. Nel referto medico sulle condizioni di salute di Marta si legge che il 2 febbraio 1929 verso mezzogiorno gli arti inferiori e superiori della paziente persero qualsiasi capacità di movimento e si irrigidirono. Le si paralizzarono anche i muscoli responsabili per la deglutizione e così non poteva assumere né cibo solido né liquidi. E inoltre non dormiva affatto. Il fatto che Marta visse per tutti quegli anni senza assumere cibo resta un mistero irrisolto per la scienza. Tra le altre cose gli uomini di scienza confermarono che la causa della sua completa immobilità non risiedeva nelle sue condizioni emotive, psichiche o intellettive. Esclusero anche qualsiasi tipo di neuropatia, tumore cerebrale o epilessia. Le vere cause della patologia di Marta sono rimaste un enorme mistero per la medicina.

Il filosofo e medico ateo Paul Louis Couchoud, incuriosito da quanto sentì sul caso Marta Robin, si recò in visita dalla malata per accertarsi di persona della verità sulla vita mistica, sulle stigme e sul fatto che ella si nutriva di sola Eucarestia. Dopo varie difficoltà, per intervento addirittura del vescovo, riuscì ad incontrare Marta. Tra i due si sviluppò rapidamente un’amicizia spirituale e da quel momento le visite del medico si fecero sempre più frequenti. Il dottor Couchoud confermò che Marta Robin era integralmente paralizzata; i muscoli della deglutizione erano bloccati a tal punto da non permetterle di ingoiare neppure una goccia d’acqua. Nel referto medico riportò che la cosa più sorprendente era la maniera in cui Marta riceveva l’Eucarestia. Non ingoiava l’ostia. Del resto non era possibile. Questa entrava misteriosamente nel suo corpo. Marta non si preoccupava troppo della sua fame cronica, cui a suo dire era stata “condannata” da Gesù. Il vero ed unico motivo per cui ella non mangiava e non beveva nulla era la sua totale paralisi. Per più di 50 anni non assunse nutrimento solido; eppure senza l’Eucarestia non riusciva a vivere.

L’Eucarestia era per Marta l’evento più importante che vi potesse essere e l’unico cibo che la teneva in vita. La riceveva solo una volta a settimana, il martedì – e negli ultimi anni il mercoledì sera. Nei giorni in cui si apprestava a ricevere Gesù nel sacramento iniziava a pregare fin dalla mattina e ripeteva il suo atto d’amore e consacrazione a Cristo del 15 ottobre 1925. In quello stesso giorno riceveva anche il sacramento della penitenza.

Quando riceveva l’Eucarestia emetteva un grido muto di meraviglia e poi entrava in estasi, ovvero in un’unione totale con Dio. Durante questi momenti il volto di Marta splendeva di una gioia e bellezza soprannaturale. Lo esprimeva nella preghiera:

“O mio diletto, sono così contenta poiché sento che il mio cuore batte nel tuo. Nel mio cuore sento la tua presenza, vivo e onnipotente. Il Signore è in me – che immenso mistero! Mi sento come in Paradiso. Un giorno morirò, o Gesù mio, sentendo come tu vivi nel mio cuore. O Gesù Mio, fa che un giorno si possa dire che sono stata ingoiata dal tuo amore, non per mio merito, ma per tua grazia... O, Dio mio, se già ora mi doni così tanto amore, mi rendi così felice sulla terra, come sarà il cielo?“

Nelle loro estasi, i mistici sono direttamente in contatto con Dio e interrompono qualsiasi collegamento con il mondo. Marta spiegava che durante le fasi mistiche non si può dire che l’anima si separa dal corpo, ma che viene in qualche modo rapita: “Dio si manifesta dapprima nella sua gloria terribile. È qualcosa di così nuovo che non si riesce ad esprimere. Dopo di che provo gioia. Una sensazione al di fuori del tempo. Non so quando esattamente accade. Non so descriverla... Avviene al di fuori di me e allo stesso tempo in me. Sono rapita. Inutile porre resistenza. Sono rapita dall’amore. Eppure in tutto ciò non v’è alcuna costrizione.

L’estasi terminava il giorno dopo l’Eucarestia e Marta tornava allo stato di normalità. Per la mistica la vita nella fede era la cosa più importante. Contava solo il suo rapporto personale con Gesù e non gli stati e le esperienze soprannaturali. Analogamente a San Giovanni della Croce ella sosteneva che non dobbiamo desiderare esperienze mistiche soprannaturali, poiché il deserto dello spirito, la notte oscura della fede è il dono più prezioso; grazie a questo dono possiamo camminare con Gesù lungo la via della croce e farci maturi per l’amore celeste. Riusciremo a camminare lungo questo sentiero soltanto se il nostro cibo spirituale più importante sarà Gesù nell’Eucarestia.

Marta soleva dire: “Quando ricevo il Sacramento dell’Eucarestia, è come se in me entrasse una persona vivente... Mi si inumidisce la bocca ma non posso ingoiare nulla. L’ostia penetra in me, ma non so dire assolutamente come. L’Eucarestia non è un alimento come gli altri. Ogni volta espande in me una vita nuova. Gesù è in tutto il mio corpo, come se fossi resuscitata dai morti. Il Santissimo Sacramento è molto di più di una semplice unione. È una fusione in una cosa sola... A tutti quelli che mi continuano a chiedere se è vero che non mangio nulla, vorrei dire ad alta voce che io mangio molto più di loro, poiché mi sazio con il corpo e il sangue eucaristici del Signore Gesù. Vorrei dire loro che sono loro stessi a bloccare dentro di sé gli effetti di questo cibo.“

Per tutti, e in particolare per la scienza, il fatto più sorprendente è che Marta – dal momento della completa paralisi del corpo nel 1929 – non ha assunto alcun cibo fino al giorno della sua morte nel febbraio 1981. Non ha mangiato e bevuto nulla per 50 anni, e non ha neppure dormito. Eppure il suo organismo funzionava normalmente. Il suo unico alimento era la santa comunione. Cristo ha voluto questo segno straordinario. Attraverso un miracolo eucaristico permanente ha voluto mostrare a tutta l’umanità la forza infinita di questo Sacramento se lo accogliamo con profonda fede.

Con l’esempio di Marta Robin Dio ci ricorda che riceviamo la vita vera solo quando accogliamo il Corpo e il Sangue di Cristo nell’Eucarestia. Attraverso questo miracolo così evidente Gesù vuole infervorire la nostra fede nel Santissimo Sacramento e la conoscenza del fatto che egli stesso è presente nell’Eucarestia nella sua umanità risorta e glorificata. Si dona interamente per renderci partecipi della pienezza della vita: “se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.“ (Giov 6, 53-54).

Ha sofferto insieme a Cristo

Marta aveva capito che per unirsi con Cristo nell’amore deve partecipare anche alla sua sofferenza per la salvezza del mondo e combattere spiritualmente contro le forze del male. Nell’ottobre 1927 il diavolo la attaccò per la prima volta apparendo come una bestia spaventosa. In seguito gli spiriti maligni comparivano sotto forma di uomini, la facevano tremare, la sbattevano da un lato all’altro del letto e la prendevano a ceffoni.

Nel 1930 Marta ricevette da Gesù il dono delle stigme. Durante la preghiera vide qualcosa di difficilmente descrivibile, una sorta di “proiettile di fuoco” che come una “freccia luminosa” uscì dal cuore di Gesù. La mistica così si è espressa circa questa misteriosa circostanza: “Gesù mi ha dapprima pregato di donargli le mie mani. Mi sembrò di avvertire un colpo partito dal suo cuore che poi si divise in due raggi. Un raggio mi trafisse una mano, l’altro l’altra. Le mani erano però come trafitte anche dall’interno. Poi Gesù mi chiese di sacrificare le gambe e subito lo feci. E vidi la stessa saetta che anch’essa si diramò e mi trafisse le gambe. Tutto avvenne assai rapidamente. Poi Gesù mi chiese di offrirgli il torace e il cuore... Qui il dolore fu ancora più intenso... Gesù mi porse anche la corona di spine, me la mise sul capo e la schiacciò con forza.“

Da allora Marta ebbe sul corpo le stesse ferite di Cristo crocifisso. E queste sanguinavano abbondantemente davanti agli occhi dei suoi genitori. Da dove potevano venire tutti quei litri di sangue, se Marta non assumeva cibo? Fermandosi ai soli dati scientifici, delle perdite tali avrebbero dovuto significare morte istantanea. I medici erano nel più totale imbarazzo. Non riuscivano a capire e tanto meno a spiegare tutto quell’insieme di fenomeni misteriosi.

Il 30 dicembre 1930 Marta dettò questa lettera: “Quest’anno è avvenuta un’unificazione intima della mia anima con Dio. Sono passata attraverso un processo di trasformazione misterioso e profondo. Malgrado la malattia la mia felicità è profonda e duratura, perché è divina. Che opera magnifica! Che sollievo!

Quant’agonia dell’anima mia c’è voluta affinché potessi morire a me stessa.“ Nel rapporto dell’ottobre 1931 i medici che si occupavano di Marta scrissero che la paziente ogni venerdì riviveva la passione del Signore: sul suo capo, mani, piedi e sul fianco apparivano le stigme delle ferite di Cristo e sanguinavamo abbondantemente. Ogni venerdì Marta viveva sul proprio corpo la passione e la morte di Gesù. Era una sofferenza corporea e mentale indescrivibile; nell’abbandono totale; nella prova dell’assenza di Dio, come quando Gesù urlò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46). Ecco la conseguenza finale dei peccati di tutta l’umanità che Gesù prese volontariamente come fardello per eliminarli e per liberare tutti dalla schiavitù del diavolo. Marta viveva insieme a Gesù la sofferenza per la salvezza dei peccatori. La sua sofferenza insieme a Gesù raggiungeva l’apice nella “morte” sulla croce che ella riviveva ogni venerdì alle tre di pomeriggio. Dopo la “morte” Marta si veniva a trovare davanti al giudizio cui dovranno essere sottoposti tutti gli uomini. Al termine del giudizio viveva la separazione dell’anima dal corpo e l’attesa della resurrezione. La domenica mattina su appello del sacerdote la mistica tornava alla vita normale.

Tramite la sua unione con Gesù nel mistero della sofferenza e della morte di croce per la salvezza della anime, Marta Robin è diventata un vero e proprio genio della vita spirituale. La sua genialità riguardava la saggezza applicata nella vita, la conoscenza del nostro fine ultimo, della meta del nostro cammino. Questa mistica francese aveva capito l’immenso dramma della lotta tra bene e male nei cuori umani. Sapeva che la più grande tragedia dell’uomo è il peccato e il vivere come se Dio non ci fosse. Aveva capito che perseverando nel peccato diventiamo schiavi del diavolo e ci dirigiamo verso la dannazione eterna. La genialità spirituale di Marta risiedeva nel fatto che partecipava all’onnipresente atto di redenzione che Cristo ha compito con la sua passione, morte e resurrezione. Per salvare i peccatori dalla dannazione eterna e per ricondurli sulla strada giusta, Marta si univa a Cristo nel suo sacrificio sulla croce per la salvezza del mondo. Offriva le proprie preghiere e la propria sofferenza per la salvezza degli altri e pregava perché si convertissero. Il dolore era particolarmente intenso nei momenti in cui non sentiva la presenza di Dio. Non sentire Gesù era per lei l’inferno e si rendeva conto di quale grande catastrofe sia il peccato. Marta era unita a Cristo che per la nostra salvezza si fatto egli stesso peccato “perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2 Cor 5, 21). La domenica mattina la mistica si univa alla gioia di Cristo Risorto, alla vittoria definitiva sul diavolo, sul peccato e sulla morte. Era così che Marta partecipava all’intero dramma della nostra redenzione che è reale durante ogni messa. In questa maniera, attraverso Marta, Gesù vuole comunicarci: “Ogni vita cristiana è una santa messa e ogni anima al mondo vuol esser ostia. Prendi tutto te stesso, senza obiezioni e sacrificati a Dio insieme a Gesù, alla sua divina vittima immolata, posta incessantemente sull’altare per la redenzione del mondo.”

Conduceva tutti a Cristo

La notizia della rara malattia di Marta s’era sparsa per tutto il territorio circostante. Erano sempre più numerosi coloro che si recavano a visitare la donna chiedendo consigli, orientamento e preghiera. Erano in migliaia a visitarla. Anche persone con cariche importanti, nella Chiesa, nello Stato, cardinali, vescovi, sacerdoti, ministri, professori, ricchi imprenditori, ma anche umili operai, contadini, persone afflitte da varie dipendenze ed addirittura tormentante da pensieri di suicidio. La malata dava agli interessati risposte immediate e concise, fornendo orientamento o ammonimento. Per lei non c’era domanda senza risposta, problema senza soluzione, situazione senza via d’uscita. Alle persone disperate e sofferenti che si recavano da lei per un consiglio ella diceva che avrebbe preso sulle proprie spalle il loro fardello. Così poteva ripagare il debito a Dio per loro e per le loro colpe. Per esempio, dopo la confessione di una certa prostituta, Marta si fece carico di tutta la sofferenza causata dalla sua vita peccaminosa.

Conduceva tutti a Cristo che guarisce tutte le ferite, placa tutti i dolori e risolve anche i problemi più gravi. Spesso una sola parola di Marta bastava a risolvere la vita di molti. Accoglieva i peccatori con estrema compassione. Li amava con l’amore di Cristo. Il diavolo la opprimeva con tentazioni di vario genere e dunque ella stessa conosceva il peso delle colpe più dei colpevoli. Ecco perché Marta, per mezzo del potere dell’unione con Cristo nella preghiera e nell’Eucarestia e attraverso l’accettazione volontaria della sofferenza, portava avanti per i peccatori una continua lotta contro le forze del male, permettendo a migliaia e migliaia di persone di sfuggire alle grinfie del Maligno.


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